Patric a 360°: “La mia lazialità nata nella difficoltà. La depressione mi ha reso più forte”

Patric a 360°: “La mia lazialità nata nella difficoltà. La depressione mi ha reso più forte”

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Patric a 360°.

Il centrale spagnolo ha parlato ai microfoni di Lazio Style dopo aver celebrato le 200 presenze con la maglia della Lazio.

Torniamo al 2018, quando eri stato escluso dalla lista Uefa per l’Europa League. Se in quel momento ti avessero detto che avresti raggiunto quota 200 presenze con la Lazio e questo status nella squadra, ci avresti creduto?

“Non ti dico di no. Io sono una persona che nelle difficoltà si è sentita molto forte. Tutto quello che mi è successo, anche in negativo, è giusto che sia accaduto. Quando sono arrivato non ero pronto. Ero un bambino, non solo nel calcio, anche nella vita. Sono una persona molto sensibile. A volte quando si parla dei calciatori si fa riferimento solo a quello che si fa in campo, ma in realtà sono persone, ognuna con una personalità che cambia il proprio modo di stare in campo. Quando si gioca a calcio ci sono molti aspetti da considerare. In quel momento io non ero pronto e penso che l’aspetto che non mi ha fatto mai essere escluso è che ho sempre lavorato, ascoltando e imparando. Andavo sempre a duemila, sapevo di avere le qualità, ma anche che dovevo maturare sotto molti aspetti. Ci ho sempre creduto!”.

Qual è la partita perfetta di queste 200 che hai giocato?

“Non ne ho una in particolare, vivo ogni emozione al massimo. Sono fatto così, quindi non quale scegliere. Mi piace vivere le partite. Poi è normale che a livello di importanza giocare la Champions è il sogno di tutti i grandi giocatori e le grandi società. Vivere una notte come quella contro il Bayern Monaco in un Olimpico pieno è speciale. Poi lo sono anche tutte le partite in casa, meno quelle in trasferta. Le vivo tutte come se fossero l’ultima”. 

Sei arrivato a Roma nel 2015, c’era già nei tuoi pensieri quello di rimanere per tutto questo tempo? La Lazio te l’ha consigliata qualcuno prima di arrivare?

“Io conoscevo già la Lazio perché è una squadra storica, poi il calcio italiano mi è sempre piaciuto e sapevo di poter imparare tanto. Non pensavo di restare così tanti anni, ma credo che per crescere e maturare non potevo stare in un posto migliore. Forse restando in Spagna la mia carriera non sarebbe stata così buona. Venire in un posto dove non parlavo la lingua, dove mi sono chiuso con i miei genitori, dove pensavo solo a giocare a calcio ha fatto parte della mia crescita. Ho avuto modo di vivere la mentalità italiana, molto più duro rispetto alla Spagna, dove di solito sono più leggeri con i giovani. Penso che stare qui mi ha fatto bene per crescere e diventare un calciatore a certi livelli. Sono orgoglioso di essere qui, mi trovo molto bene”. 

L’unica cosa rimasta di Patric nel 2015 è il tatuaggio sull’avambraccio…

“Ero un bambino. Mi piaceva divertirmi, cambiare, fare tutto. Fa parte dell’essere giovani, poi bisogna maturare. Si trova la migliore versione di un calciatore quando questo migliora anche fuori dal campo. Io sono sta bravo perché sono voluto crescere a tutti i costi, lottare anche per tanti mesi o anni al buio senza che nessuno lo vedesse, io ero l’unico a crederci e per questo devo ringraziare anche me stesso. Ho trovato una maturità diversa”.

La tua prima esperienza all’estero è stata al Villarreal, com’è stata?

“Io nasco a Murcia, un piccolo paese dove non esistono calciatori, e vengo da una famiglia molto umile. Tutto gli agi delle grandi città sono lontani, lì si vive in campagna e in modo naturale. Quando arrivò l’offerta del Villarreal avevo dodici anni e dirlo ai miei genitori non fu facile visto che non capivano molto di calcio. Di recente ne parlavo con mia madre e lei mi ha detto che io arrivai a minacciarli dicendogli che non li avrei mai perdonati se non mi avessero mandato. Oggi mi rendo conto del sacrificio che hanno fatto, non era facile mandare un ragazzo così piccolo, mia madre è stata male un anno”. 

La mia famiglia?

“Siamo molto legati, siamo pochi e stiamo spesso insieme. Ho anche una sorella con cui mi sento sempre”. 

Come spiegheresti la Lazio? Ti senti di incarnare la lazialità?


“Lo avevo sentito tanto nei primi anni. Anche se non giocavo, anche se venivo criticato, capivo la situazione e l’ambiente Lazio mi entrava dentro. È come una famiglia. In certi momenti ti emozioni da solo senza pensarlo, significa che c’è qualcosa che ti è entrato dentro. La Lazio la porterò con me sempre, è la mia squadra del cuore. Ha qualcosa di speciale. Chi passa tanti anni qua si rende conto che non ne puoi fare a meno. Te la ricorderai per sempre. Ti entrano dentro i tifosi e la maglia. La gente muore per andare allo stadio a vedere la Lazio che vince. Sono valori che abbiamo da sempre e che ti fanno amare la maglia”.