Sarri ed il ritorno alle origini: è dove può incidere e decidere che fioriscono le sue idee

Sarri ed il ritorno alle origini: è dove può incidere e decidere che fioriscono le sue idee

Approfondimenti

Condividi l'articolo

Maurizio Sarri a Napoli è passato alla storia soprattutto per la stagione dei 91 punti ma quel campionato esaltante e doloroso, culminato nel tragico pomeriggio di Firenze, fu il frutto di due anni di lavoro.

Soprattutto della stagione precedente, la prima senza Gonzalo Higuain.
Serie A 2016/17: quel Napoli conquistò 48 punti dal giro di boa in poi, la miglior squadra del girone di ritorno di un campionato che concluse al terzo posto con 86 punti. Mertens centravanti fu la ciliegina sulla torta, l’upgrade definitivo per un successivo campionato che ancora oggi viene ricordato anche se non ha portato ad alcuna vittoria.
Vi ricorda qualcosa? La Lazio oggi sembra stia vivendo proprio quel secondo anno lì. Ci sono delle differenze, evidentemente, ma è fuor di dubbio che in questo girone di ritorno stia emergendo in tutta la sua forza il lavoro meticoloso di Sarri. Sei vittorie e un pareggio nelle ultime sette partite di campionato, nessuno come la Lazio negli ultimi due mesi. Una squadra che non sa ancora gestire (o forse non ha la forza per farlo) un impegno ogni tre giorni, ma che quando può concentrarsi su un solo obiettivo può battere chiunque. Si stanno ponendo le basi per una stagione straordinaria, anche se qualcosa andrà sistemato. Anche se in estate Lotito dovrà prendere una decisione già troppe volte rinviata.

Sarri è tornato alle origini dopo aver toccato con mano ciò che non gli piace
A 64 anni Maurizio Sarri si ritrova ad allenare soprattutto per il gusto di allenare. Se il Napoli fu il trampolino di lancio per riscattare, anche economicamente, 20 e passa anni di gavetta tra Promozione e Serie B, la Lazio è il ritorno alle origini. Maurizio Sarri è un allenatore, un insegnante di calcio, un ruolo molto diverso da quello di gestore ricoperto al Chelsea prima e alla Juventus poi. Soprattutto l’anno bianconero fece emergere ciò che Sarri non è, con quali compromessi ha dovuto fare i conti pur di alzare al cielo prima un’Europa League e poi uno Scudetto nemmeno festeggiato.
È passata alla storia questa sua ammissione a capitolo bianconero ormai concluso: “A metà ottobre feci una riunione con lo staff, chiedendo di fare una scelta. Andiamo dritto per la nostra strada e andiamo a casa tra 20-30 giorni o scendiamo a qualche compromesso, vinciamo il campionato sapendo che andiamo a casa lo stesso? Abbiamo scelto la seconda”.
Quel capitolo della sua vita è ormai chiuso. Dopo aver visto cosa c’è dall’altro lato della Luna, Sarri oggi non ha più quella smania che agitava le sue giornate partenopee e sa che questo tipo di ambiente, dove può decidere e incidere, rappresenta l’humus ideale per far fiorire le sue idee. Che hanno bisogno di pazienza e duro lavoro, che hanno bisogno di tempo e applicazione per sedimentarsi, ma che poi sanno apparire in tutta la loro magnificenza. Perché per Sarri i risultati sono sempre una conseguenza. L’effetto e non la causa.
Claudio Lotito l’ha capito. Ha dimostrato di saperlo assecondare e di saper aspettare. Ha creato un rapporto talmente solido che ha spinto Sarri, dopo la vittoria col Monza, a rilasciare una dichiarazione non banale: “Se non succede qualcosa di clamoroso, mi vedo in un progetto a lunga scadenza. Voglio smettere alla Lazio”. C’è però ancora qualcosa di irrisolto e tra qualche settimana, a bocce ferme, su questo irrisolto toccherà tornarci.

Ma a giugno ci sarà la resa dei conti
È evidente però che qualcosa negli ultimi anni sia cambiato. È cambiato lo scenario col cambio di allenatore. A differenza di Inzaghi, Sarri di Tare non condivide idee e scelte. Il suo modo di far mercato, le sue strategie e i suoi orientamenti. A Lotito questo quadro è apparso chiaro quasi subito e per questo motivo, un anno dopo l’arrivo di Sarri, ha inserito nell’organigramma societario la figura di Angelo Fabiani: ufficialmente Direttore Sportivo della Primavera, ufficiosamente molto di più. Fabiani ormai dalla scorsa estate è il trait d’union tra le richieste di Sarri e le decisioni di Lotito, è colui che insieme a Enrico Lotito gli ultimi giorni di agosto era a Milano per risolvere le ultime operazioni di mercato della Lazio e che ha operato come e più di Tare. Che qualche operazione l’ha pur definita, ma molte più volte è rimasto a guardare.
Più che un Direttore Sportivo, Tare nell’ultima stagione è stato il pungiball di Sarri, da colpire tutte le volte che le cose non hanno funzionato. L’ultima dopo l’eliminazione dall’Europa League: “Non siamo strutturati per tre competizioni. Dobbiamo crescere sotto tutti i punti di vista”. Tare paga alcuni grossolani errori di mercato, ma più di tutto una vision molto diversa da quella del suo allenatore. Di quel Sarri che oggi è figura attorno a cui si avvinghiano i sogni di gloria biancocelesti. Di quel Sarri che chiede sempre più persone allineate al suo credo per portare a compimento il suo lavoro.
La bilancia alle porte di un terzo anno che si preannuncia ricco di speranze e possibilità pende tutta in un’unica direzione e per questo motivo, mai come ora, la storia tra Lotito e Tare sembra giunta ai titoli di coda.

Tuttomercatoweb.com