Al Saadi Gheddafi, da calciatore (scarso) a debitore di alberghi, passando per il SUV.

Al Saadi Gheddafi, da calciatore (scarso) a debitore di alberghi, passando per il SUV.

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Perugia, Udinese e Sampdoria.

Sono tre le squadre professionistiche italiane che ebbero il coraggio di tesserare il figlio del leader libico Mu’ammar Gheddafi, trucidato nell’ottobre del 2011 durante la cosiddetta Primavera araba.

Al di là delle due dimenticabili presenze in A, la sua vita in Italia è stata sempre all’insegna del lusso e degli stravizi.

La Liguria si sa, è terra di tentazioni e a Rapallo il figlio del dittatore libico era abituato a vivere negli agi con le carte di credito del papà e soggiornando in un albergo di lusso ai tempi in cui era tesserato con la Sampdoria.

Erano in tanti a venirlo a trovare regolarmente, dall’Europa e dall’Africa, soggiornando in questo grand hotel senza badare a spese. Tutti a sue spese, tra ristorante e camere. Anzi, suite all’ultimo piano dell’hotel. Quella centrale, dove stava Gheddafi, ha il suo salottino, la camera da letto, i doppi servizi, addobbi degni del tenore altissimo, con un quadro che raffigura la morte di Napoleone a campeggiare sopra al divano. Si dice che lui avesse fatto mettere dentro anche una tenda canadese.

Ora Al Saadi Gheddafi si è fatto vivo. Ha provato a reclamare un Suv blindato, 3.500 di cilindrata, che dal 2007 è parcheggiato nel cortile dell’Excelsior Palace Hotel dove il figlio calciatore del leader della Libia soggiornava stabilmente, ai tempi della Sampdoria.

Non si è fatto vivo proprio di persona. «Ci ha fatto chiamare da una agenzia d’affari. Da Mauritius», racconta il direttore dell’hotel di lusso di Rapallo, Aldo Werdin che in maniera risoluta ha risposto all’interlocutore che risulta un conto da 360mila euro non pagato a nome di Al Saadi.

Da quando il padre aveva tolto le carte di credito al figlio calciatore per ottenere il suo ritorno in patria, i debiti crebbero a dismisura.

C’è una sentenza del Tribunale di Chiavari del 2011 di ricognizione del debito: «Altrimenti avremmo dovuto pagare le tasse su una cifra mai presa», sottolinea Werdin.

Questi 360mila euro lasciati in sospeso con una frettolosa fuga, non furono spesi in mesi o anni, ma in «Circa una settimana», risponde laconico il direttore. «Non era da solo – aggiunge Werdin – Nei fine settimana magari venivano a trovarlo la moglie e i due figli e comunque intorno a lui e a ciascuno di loro, c’erano guardie del corpo e dipendenti vari».

Una specie di Anna Sorokin – mirabilmente raccontata dalla miniserie Inventing Anna – in versione goffa.

Alessio Buzzanca