
Scudetto del 2000, Veron: “Ho pianto come un bambino. Nessuno era forte quanto la mia Lazio”
Rassegna stampa
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Sono passati 25 anni dal secondo scudetto della Lazio ma le emozioni sono ancora vivissime: la rimonta, l’attesa, la pioggia, tutto ha contribuito a rendere speciale quella giornata.
Tra i protagonisti di quelle stagioni c’era sicuramente Juan Sebastian Veron che a La Gazzetta dello Sport ha ricordato lo scudetto.
“Cosa mi vine in mente? La radiolina di Sensini, naturalmente.
Fischio finale – “Ho fatto un salto con le braccia alzate verso il cielo, che era poi il soffitto dello spogliatoio. E mi sono messo a piangere. Sì, a piangere come un bambino. Avevo raggiunto il mio sogno e quello era il mio modo di festeggiare, mentre la gente impazziva di gioia, dentro e fuori dall’Olimpico”.
“Scudetto figlio della sofferenza? Considerando il finale, direi di sì. Ma lo definirei anche lo scudetto della qualità. Eravamo la squadra più forte del campionato, e questo voglio gridarlo forte anche a venticinque anni di distanza. Nessuno era forte quanto la mia Lazio”.
“Eravamo una squadra fantastica, dotata di grandissime qualità tecniche e, soprattutto, umane. E poi a guidarla c’era un allenatore speciale, Sven Goran Eriksson, uno che a me ha insegnato tantissimo. Mi ha spiegato come dovevo fare il calciatore e, contemporaneamente, mi ha fatto crescere come uomo. Gli devo tantissimo”.
Il segreto del successo – “Molto semplice. Eravamo una squadra con tantissimi talenti. Penso a Mancini, a Boksic, a Nedved, a Mihajlovic, a Nesta, e di sicuro me ne sto dimenticando qualcuno… Bene, sapete che cosa ha fatto Eriksson? Non si è messo a disegnare schemi sulla lavagna, sapeva che sarebbe stato inutile, ma ci ha fatto sedere sulle panche dello spogliatoio e ci ha detto che cosa pretendeva da noi sul piano umano. Desiderava che ognuno di noi togliesse qualcosa al proprio ego e lo mettesse a disposizione del gruppo. Tutti fummo convinti da quel discorso, e i risultati sono lì a testimoniarlo. Quella Lazio era, prima di tutto, un grande gruppo. Si lavorava duramente in allenamento, ci si impegnava per la causa e si lottava dimostrando un’unità d’intenti che non è sempre facile trovare in un club”.