Sarri a 360: “La Lazio mi ha preso, spero mi torni indietro amore. Il secondo posto un miracolo, in Arabia potevo guadagnare…”

Sarri a 360: “La Lazio mi ha preso, spero mi torni indietro amore. Il secondo posto un miracolo, in Arabia potevo guadagnare…”

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Ritorna sulla panchina della Lazio, con una nuova avventura carica d’entusiasmo.

L’ha fatto per amore, perché Maurizio Sarri mette sempre l’aspetto emotivo in prima posizione. Per lui le sensazioni e l’amore antico per il calcio sovrastano molto spesso i tasselli razionali. Dai cambiamenti nel mondo del calcio alla difficoltà della Nazionale, passando per i percorsi di Juventus, Milan, Inter, Atalanta e non solo. Alfredo Pedullà l’ha intervistato in esclusiva per SportItalua

La metodologia di Maurizio Sarri com’è cambiata?
“Uno parte da alcune idee, le sviluppa, poi fa alcuni passi indietro su altri aspetti. Nell’evoluzione di una persona è normale sviluppare delle idee e procedere in quel modo. Nel calcio attuale pensare di poter avere 25 giocatori adatti al proprio calcio sta diventando impossibile. Cambiare le rose sta diventando sempre più dispendioso, quindi bisogna aumentare la capacità di adattamento ai giocatori che si hanno a disposizione. Mi scappa da sorridere quando mi dicono: ‘Certe squadre che hai allenato dopo non giocano come il tuo Napoli’. Sarebbe controproducente, perché non ci sono più squadre con quelle caratteristiche di gioco. Mi sarebbe piaciuto ri-avere un altro Napoli, è il calcio che mi dà più soddisfazione e gusto. Ma se alleno Immobile non posso farlo giocare come Mertens, sono profili diversi. La mia esperienza alla Lazio non posso racchiuderla negli ultimi tre mesi che non sono andati bene. Ho fatto un secondo posto che è il risultato più importante degli ultimi 25 anni della storia del club”.

Se fosse entrato quel colpo di testa di Immobile, la partita contro il Bayern sarebbe cambiata?
“Il Bayern dopo quell’episodio si è rinfrancato. Ci avrebbe dato più speranze, loro erano un po’ nervosi e giocavano sotto un contesto polemico. Sicuramente avrebbe creato un presupposto, ma il Bayern era più forte di noi”.

De Ligt, che tu conosci molto bene, cosa ti ha detto?
“Mi disse che secondo lui, se fossimo andati in vantaggio, avremmo potuto portarla fino in fondo. Lo spirito della squadra bavarese era veramente basso”.

Di solito non si torna. Ma questa è l’estate dei ritorni. Perché hai deciso di tornare alla Lazio?
“Principalmente per amore, perché da un punto di vista razionale forse non è la scelta più logica. La Lazio mi ha preso, ho amore verso società e tifosi. La scelta è stata d’amore. Se ci ho pensato molto? Quest’anno ho avuto diversi interessamenti e diverse trattative, questo è motivo di soddisfazione. Ma ci ho pensato un giorno o due, non di più”.

Qual è stata la molla?
“Mi aspetto un adeguamento della rosa per renderla più idonea alle mie caratteristiche, ma conosco la situazione e so benissimo che ci sarà qualche innesto, ma senza stravolgimenti”.

E’ stata fatta molta filosofia sul tuo addio dalla Lazio.
“Quando hai dei problemi familiari e di salute, non sei nelle condizioni mentali di sopportare normali problemi di lavoro. Che in quel momento non avevo basi di sopportare. Si trattava di normali problemi di lavoro, nulla di eclatante”.

In quell’estate hai avuto proposte non dall’Italia. Pausa di riflessione voluta e meditata?
“A livello familiare ho avuto delle cose che mi hanno un po’ segnato, dunque era meglio ritornare in una lucidità totale per riuscire ad assorbire certi lutti. Anche quest’anno avevo una trattativa con una squadra saudita, nella quale avrei guadagnato in un mese quanto alla Lazio in un anno. Fin dall’anno scorso dissi che sarei andato dove mi avrebbe condotto il cuore, non i soldi”.

Quindi cifre altissime…
“Non m’interessa. Ho sempre fatto il calcio per passione, non vorrei iniziare ora a farlo per soldi”.

A Spalletti hanno fatto una proposta di 18 milioni a stagione, precisamente dall’Al Nassr. Cosa faresti al posto suo?
“Quello che ho fatto. Non andrei”.

Perché? Non è calcio?
“Non lo so, è un qualcosa che, se ci penso, non mi provoca reazioni emotive e non mi dà stimoli. Mi riuscirebbe difficile allenare là”.

Però stanno riuscendo a convincere tanti campioni in Arabia Saudita…
“Se portano i campioni là, io allenerò gli scarsi qui”.

Ti sei fatto un’idea della situazione del movimento calcistico italiano?
“Qui stiamo parlando di Nazionale, che può essere un riflesso del movimento, perché al livello di club anche in campo internazionale abbiamo fatto bene. L’anno scorso secondi nel ranking europeo, quest’anno terzi. A livello di club il movimento sembra in crescita, poi in Nazionale ci sono altre problematiche. Sarebbe inaudito non andare al Mondiale, non è possibile mancare il terzo di fila. Sono tre gli allenatori andati in difficoltà nelle qualificazioni ai Mondiali, è difficile pensare che le colpe siano solo dei tecnici. C’è qualcosa, probabilmente, di più grande dell’allenatore. Tutte le componenti hanno le loro responsabilità, dagli allenatori delle giovanili sino a noi”.

Un consiglio a Gattuso?
“Di continuare a essere Rino Gattuso, sempre e comunque. Penso che un allenatore debba essere se stesso. Se sei te stesso e sei coerente, alla fine qualcosa trasmetti. Conosciamo il carattere di Rino, che a me piace e sta molto simpatico, spero continui a essere lo stesso, sia nei risultati positivi sia in quelli negativi. Spero faccia il Ringhio”.

Cosa resta, in eterno, nella metodologia dell’allenatore?
“Penso che le mie squadre, a livello di ordine, organizzazione e compattezza, siano abbastanza inquadrabili. Se si vede la mia squadra in campo, è facile identificarla in una mia squadra. La capacità di caratterizzazione penso sia una mia caratteristica. Poi si può discutere sul livello di spettacolarità, ma quello dipende dai tratti identitari di certi giocatori, soprattutto gli attaccanti, che vanno messi nelle condizioni di fare la cosa in cui sono più bravi. Ordine, compattezza e squadra corta sono i segni distintivi”.

Ci eravamo lasciati l’altra volta con una valutazione generale del nuovo ciclo Juventus con Giuntoli e Motta. Non è andato bene, hai una spiegazione? L’ultimo Scudetto alla Juve l’hai vinto tu.
“Vorresti dire che gli ho fatto una maledizione (ride, ndr). Me n’ero accorto quando l’abbiamo vinto che era stata una vittoria importante. Al direttore dissi che secondo me quella era una squadra a fine ciclo, quindi c’era la necessità di intervenire. Su quest’anno: è strano che non siano riusciti a fare bene. Il Giuntoli che ho conosciuto io è un direttore sportivo d’altissimo livello. Motta l’anno scorso ha allenato un Bologna difficile da affrontare e che giocava anche con qualità. L’ambiente Juve è difficile, non so dire da fuori quello che può essere successo. Ma un po’, questo rendimento negativo, mi ha sorpreso”.

Quanto tempo può servire, a una squadra come la Juve, per tornare a essere protagonista?
“Non lo so, la potenzialità per tornare protagonisti c’è. Non significa necessariamente vincere uno scudetto o una coppa, ma per essere competitivi ci sono già le carte”.

C’è un continuo rimescolamento nelle panchine. Ormai non si dura più di un anno. Ti sorprende questo andamento?
“Klopp un paio d’anni fa disse che chi giudica un allenatore dopo una sola stagione non capisce nulla di calcio. Penso che una bella fetta di ragione ce l’aveva”.

Ti incuriosisce più Allegri che torna al Milan o il Napoli che fa fuoco e fiamme sul mercato, confermando di essere padrone del campo?
“Dopo la mia esperienza al Napoli, i partenopei hanno iniziato a capire che gli investimenti erano importanti e che potevano fruttare anche con ritorni economici importanti. Quando allenavo il Napoli, sembrava un problema insormontabile anche acquistare un giocatore per 18 milioni, adesso le cose sono cambiate. La società è forte, la squadra è fortissima. Penso che sarà nettamente la squadra favorita per lo Scudetto. Era forte già prima, il decimo posto è un’assurdità. L’anomalia è stata quella stagione: la sensazione, vedendoli dall’esterno, è che il dominio continuerà per due o tre anni. E possono far bene anche in Champions. Hanno le caratteristiche e la forza per essere protagonisti”.

Tu hai sempre considerato il Milan una squadra forte con un organico di livello.
“Giudicare da fuori è sempre difficile. La sensazione che hanno dato quest’anno era quella di giocatori forti, ma senza una squadra forte. Se li guardi uno per uno, sono forti. Ma la squadra lasciava a desiderare”.

Contrario o favorevole a chi dice che giocatori a fine corsa come Modric non vanno mai presi?
“Penso che il PSG quest’anno abbia dato una lezione a tutti. Ha smesso di fare la squadra con le figurine, inserendo giovani di grande motivazione e talento. E, con una formazione che sembrava ridimensionata, sono andati a vincere dove avevano sempre fallito”.

Luis Enrique il miglior allenatore al mondo?
“In questo momento sì. Se la gioca con Guardiola, che non ha fatto un anno eccezionale. Il PSG gioca molto bene e ho ammirato con grande piacere le scelte che ha fatto”.

Sulla finale di Champions…
“Quando arrivi corto mentalmente, contro quelle squadre, se non sei mentalmente in partita, la puoi pagare caramente”.

Si è parlato molto di Fabregas come ‘nuovo che avanza’. E’ un allenatore manager.
“Ha un’intelligenza di grandissimo livello, ha avuto tanti allenatori nella scuola calcio. L’ho trovato a Coverciano quando era terzultimo in classifica. Gli dissi di non preoccuparsi perché si sarebbe salvato senza problemi. Secondo me diventerà un allenatore di grande livello, da top club. Ha un background che glielo consentirà. Deve ancora finire un percorso: ha margini di miglioramento nella fase difensiva. Non ho dubbi che nel giro di due-tre anni lo vedremo allenare un top club europeo”.

Nella tua filosofia partirai sempre a giocare nei primi trenta metri della manovra?
“In Italia in questo momento si sta sventolando la bandiera del calcio diretto come calcio vincente. Poi vai a vedere i top d’Europa a livello di nazionali, e noti che le migliori sono Portogallo, Spagna, il PSG. Sono tutte squadre di palleggio. Cosa guardano i commentatori?”.

L’indirizzo, quindi, è un altro?
“Se ci guardiamo intorno mi sembra di sì”.

Spesso ci si dimentica della tua cura nei dettagli difensivi.
“A Napoli mi sono diverito, anche se non abbiamo vinto. Anche giocatori e pubblico si sono divertiti. I due miracoli della mia carriera sono stati: la vittoria dello Scudetto con la Juve, con una squadra a fine corsa, e il secondo posto con la Lazio. Europa League con il Chelsea? Era una squadra forte e poteva vincere quel trofeo. Il secondo posto al Napoli? Era una squadra forte. Arrivare secondi a 91 punti non era mai successo nella storia della Serie A. Ogni tanto ci penso (ride, ndr), il tricolore sarebbe stato il giusto coronamento di un percorso triennale. Dunque questo senso d’insoddisfazione per il risultato mi rimarrà per tutta la vita”.

Anche se di solito si dice: “Se non vinci, non si ricorderanno del tuo calcio”.
“Non è così. Se ti parlo di anni 70 chi ti viene in mente? L’Olanda, che non ha vinto niente. Quando ero al Napoli si parlava di Maradona, ma soprattutto del Napoli di Vinicio”.

Gasperini alla Roma dopo nove anni irripetibili. Lascia un macigno o pensi si possa continuare?
“La sensazione da fuori è che l’Atalanta sia una società strutturata e solida. La mancanza sarà pesante, ma penso che ci possa stare un cambiamento dopo nove anni, un periodo temporale incredibile in Italia. La sensazione era la fine di un percorso con un’esperienza diversa”.

Ti chiederanno di mantenere il rendimento top nei derby, visto che ne hai perso solo uno…
“Sì, speriamo di poterlo fare. Ho giocato partite di grande importanza, ma il senso di spossatezza che si prova dopo un derby non l’avevo mai provato. Pesa tutta la settimana, ma il vero peso (la botta) ti arriva quando l’arbitro fischia la fine. Solamente lì ti rendi conto della settimana appena trascorsa”.

Il derby più bello vissuto a Roma?
“Ne ho vinti 4, poi un pari e una sconfitta. Il primo fu bellissimo per l’evoluzione. Fu combattutissimo, poi l’emozione che ti lascia il primo derby vinto è stata tanta. Il derby perso per 0-3 fu pesante, mi vergognavo andare a Formello. Fu una settimana durissima: due gol di Abraham e uno di Pellegrini”.

Ancelotti ha fatto bene? Il Brasile può essere il compendio della sua carriera?
“Dipende da quello che sente lui. Se avesse aspettato dieci giorni, per me sarebbe diventato il ct dell’Italia. Non so se prevarrà il rammarico per questa situazione”.

Quest’anno ripristini la settimana tipo senza coppe.
“Ora tutti parlano del calendario. Perché mi attaccavano? Non so, l’hanno detto Klopp e Guardiola che si stava esagerando. La settimana tipo aiuta molto, ma la competizione europea ti manca. Far mancare una coppa europea a una squadra della capitale non mi piace tanto. Si può seminare per tornare, ma non sarà facile”.

Cosa ti verrà in mente la prima volta che tornerai all’Olimpico, rimettendoci piede?
“A Formello mi mancherà Olympia, era nel giardino davanti alla mia stanza. Olimpico? Spero di essere accettato bene da tutti, dunque spero che quest’amore mi torni”.